Andata e ritorno

Andrea tirò dietro di se la porta. Stava andando via di casa, dopo l'ultimo litigio con i suoi, eppure la socchiuse così delicatamente da lasciarla aperta. Neanche in quel momento voleva dare fastidio; usciva come una comparsa teatrale che, conclusa la sua parte, va via dalla porta di servizio. I suoi genitori non avevano più fiducia in lui ed egli non faceva niente per riconquistarla. Si arriva, nei rapporti d'affetto, a certe situazioni di stallo, come possono apparire insormontabili. Questa era proprio una di quelle. Andrea sapeva che il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di tornare a casa, se i suoi non avessero fatto un primo tentativo di riconciliazione. Ma suo padre aveva il suo stesso carattere, la stessa stupida testardaggine che tante volte li aveva fatti scontrare.
Girò a vuoto per un po'. La città ancora affollata pareva volesse inghiottirlo nella sua frenesia. Si sentiva sommerso dalle fredde luci notturne, cupe ed accecanti al tempo stesso. Decise di andare a dormire alla stazione. Aveva voglia di fare tutto ciò che avrebbe fatto un barbone: cercarsi dei cartoni con cui coprirsi, stendersi su una panchina, farsi raccontare da quella gente un po' di vita vagabonda.
Le stazioni delle grandi città sono come veri e propri villaggi, degli ipermercati che espongono ai  loro banconi le sfortunate storie dell'umanità. Le prime persone che vide erano tre prostitute che  litigavano tra di loro, poi scorse un distinto signore in giacca, cravatta e pantofole che tutti chiamavano "Milord", un paio di africani che, seduti a terra, giocavano con una strana scatola di legno e una donna anziana che ripeteva continuamente "ho perso il treno… quando parte il prossimo treno?".
Andrea guardò l'orologio. Erano appena passate le tre. Entrò nella sala d'aspetto, dove non c'era neppure posto per stendersi per terra. La puzza di urina e di mille altri rifiuti organici sparsi ai quattro angoli era insopportabile. Andò a cercare qualcosa con cui coprirsi. Dopo mezz'ora di ricerca non era riuscito a trovare nient'altro che un cartone così piccolo da coprirgli a malapena il viso. Vide una panchina libera e si stese lì, con il freddo che gli bucava le ossa. Si addormentò subito ma, dici minuti più tardi, un violento calcio alle costole lo riportò velocemente alla realtà. Si ritrovò davanti un uomo di mezza età, con una lurida barba incolta e un copricapo di lana color ocra, bucato all'estremità: - Togliti subito dal mio letto, piccolo bastardo! - gli intimò il barbone fissandolo con disgusto.
 - Mi scusi  -  disse Andrea, ancora mezzo addormentato - io non volevo… -. Non fece in tempo a finire la frase che l'uomo lo colpì con un pugno. - Adesso te ne ricorderai! - gli disse mentre il ragazzo, piegato per terra, sanguinava da un labbro.
Mentre cercava di tamponare il sangue con un fazzoletto si sedette accanto ad una ragazza con il viso pallido e spento che fissava il vuoto senza dare evidenti segni di vita.
Niente di quello che aveva immaginato prima di arrivare alla stazione si era realizzato. Nessuno gli aveva ancora rivolto la parola se non per picchiarlo, non c'era quel calore umano che si aspettava di trovare il questa sorte di punto d'incontro di tante sofferenze, quel distacco dalla frenetica società in cui viveva. Nessuno tra quelli che erano accampati in quel dormitorio abusivo era lì per scelta. Quel posto perdeva, agli occhi di Andrea,  tutto il suo fascino, de acquistava solo un'immagine di tristezza e squallore infiniti. Non era altro che un catalizzatore di tutta quella gente che veniva rifiutata dalla città e che, per i casi della vita, credeva solo alla legge della sopravvivenza ad ogni costo.
Si voltò a guardare la ragazza  alla sua sinistra e la trovò nella stessa posizione in cui l'aveva vista prima, con lo sguardo perso nel vuoto e le labbra violacee.
Sebbene gli effetti della tossicodipendenza le avessero scavato il viso, i suoi lineamenti rivelavano una bellezza fuori dal comune, fresca e sofisticata ad un tempo. Come poteva essere finita in quel posto? Andrea non se lo spiegava.
- Va tutto bene? - chiese il ragazzo cercando di guardarla negli occhi.
Lei non rispose, continuando a fissare il muro. Poco dopo stese la testa sulle sue gambe e disse con la voce rotta dal pianto: - aiutami… ti prego! -. Cominciò a tremare tra le braccia di Andrea, che non sapeva cosa fare.
Preso dalla disperazione, chiese aiuto a quelli che dormivano nella sala. L'unica cosa che riuscì a ricavarne fu una bottiglia schivata per un pelo. Prese in braccio la ragazza e corse a cercare aiuto fuori, ma invano. Scese le scale della stazione, con la ragazza  che tremava sempre di più e gli ripeteva di non voler morire.
- Non morirai, stai calma - le rispose Andrea terrorizzato.
Proprio in quel momento, milord uscì dalla sua montagna di cartoni e gridò, estraendo l'orologio dal panciotto: - Chi fa questo baccano alle quattro del mattino? -.
- Mi aiuti - gridò Andrea disperato. - questa ragazza sta male -.
- Giulia! - esclamò stupito il barbone. - Dai qua, ragazzo. Adesso la portiamo in ospedale -. Così dicendo la prese in braccio e proprio in quel momento la ragazza cominciò a vomitare sulla giacca di Milord.
Il vecchio continuava a correre verso il parcheggio dei taxi, mentre cercava di pulirsi la giacca con il fazzoletto, allargando ancora di più la macchia.
Milord svegliò un suo amico tassista che, dopo le prime riluttanze, accettò di accompagnarli in ospedale. Giulia fu portata in sala di rianimazione e i due rimasero soli nella sala d'aspetto del pronto soccorso, alle quattro e mezzo del mattino, con ancora il fiatone per le corse fatte con Giulia in braccio.
- È stato terribile - disse Andrea sconvolto. - Non c'era nessuno a cui importasse qualcosa della vita di quella ragazza -.
- È da poco che dormi alla stazione, vero? - chiese Milord.
- Si, questa era la prima notte! -.
- Beh, hai presente la gente che corre allucinata sui marciapiedi nell'ora di punta? Sai bene che nessuno di loro si concederebbe  una pausa dai suoi problemi per quelli di uno sconosciuto, in quei momenti? -.
- Si, certo… -.
- Vedi -, lo interruppe Milord - la stazione dà la perfetta immagine della città e dei suoi abitanti. Li si riflettono tutti i mali di questa società egoista. Guardandola dall'esterno si pensa di trovare gente miserabile ma felice, e comunque con diversi valori. Ma anche lì c'è una specie di corsa alla ricchezza, un istinto spiccato al possesso. C'è solo un modo diverso di guadagnare i propri beni. Non è il più forte né il più intelligente a dettare le sue condizioni, ma solo il più cattivo… che mi pare tu abbia già avuto modo di conoscere?! - concluse il barbone ridendo.
- Già… - rispose Andrea toccandosi il labbro gonfio. - In pratica - continuò in modo ironico il ragazzo - l'unica cosa che cambia sono le modalità di pagamento! -.
- Ricorda che la vita è un continuo "do ut des" e chi non ha nient'altro da offrire finisce per pagarti con tutto il rancore che ha dentro - lo riprese Milord.
- Vedi questa giacca? - continuò, - è tutto ciò che mi rimane. La mia sola proprietà. Però, credimi, ha un valore molto più importante di quello che gli altri le danno. È la mia speranza. La speranza di tornare, un giorno, in una società diversa, migliore… che dovrebbero costruire quelli come te, che ancora credono che aiutare qualcun altro non sia fatica sprecata -.
- Lo credi davvero? - chiese Andrea.
- Certo. E se vuoi darmi ascolto, torna a casa e cerca di costruire qualcosa per cui valga la pena di vivere, al di là degli schemi che ci impongono -.
Andrea tornava a casa e sentiva esplodergli dentro una felicità incontrollabile, una voglia di fare mille progetti e di realizzarli tutti.
Doveva farcela, doveva far tornare Milord, con il suo bel vestito macchiato per un gesto d'amore, nella società che sognava e che lui aveva il compito di costruire.
Era più sicuro di prima, riusciva finalmente a vedere oltre le nubi che oscuravano il suo futuro. Quella porta, che andando via aveva lasciato semi aperta, era rimasta così, pronta ad attendere ogni sua decisione o ripensamento.
Da quel giorno la sola maniera di risolvere i problemi sarebbe stata affrontarli a viso aperto. Scappare, d'altronde, non è possibile, quando hai deciso di non lasciar scrivere ad altri la tua storia.